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di un carlino, o al massimo quindici tornesi1. I medesimi nostri tarì venivano per lo più specificati ne’ contratti con tale formola: Tareni boni de Amalfia diricti et pesanti de uncia quinque de auro et quinque de argento, ana tareni quatuor per solidum. E ciò serviva facilmente per assicurare la perfetta lor qualità e giusto peso.
Ed ora cessando di parlare del tarì, ci resta a dire alcuna cosa de’ soldi d’oro di Amalfi, già creduti non reali ma immaginarî — Ben sappiamo che il soldo legale longobardo era quello di argento, ed importava quattro silique, ciascuna delle quali valeva tre danari2. Su tale argomento il Muratori ebbe a spendere non poche parole, che nè punto nè poco riguardano i nostri soldi amalfitani3. Le carte de’ tempi longobardi e normanni ci porgono continuati esempi di pagamenti e donazioni fatti di soldi d’oro di Amalfi, i quali venivano per convenzione ragguagliati per quattro tarì amalfitani, quorum (solidorum) quisque habeat de tari boni pesanti de moneta Amalfiae ana tari quatuor per solidum; espressione frequentissima che incontrasi nella lettura de’ contratti qui celebrati in quell’età.
Leggiamo pure nella cronica di Montecassino, che il normanno principe Roberto Guiscardo tra le ampie largizioni fatte a quella basilica, donolle pure mille solidos