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la signoria dello stesso Federico II, per difetto di acconci documenti. Impertanto, comechè questo imperatore avesse prescritto di non più monetarsi i tarì di Amalfi, pure non poteron cessare di aver corso quelli ch’egli ed i suoi predecessori avean coniati: e però addivenne che in tutto od in gran parte i medesimi ebbero pieno corso anche sotto i re Angioini, come raccogliesi da molteplici scritture1.

Ma di qual valore fosse stato il tarèno o tarì amalfitano ne’ tempi di Repubblica o de’ primi duchi Normanni, affatto s’ignora; imperocché nessun documento vi ha, il quale potesse almeno con qualche probabilità chiarirlo. La stessa oscurità di ragguaglio intorno al medesimo troviamo nelle carte pubblicate durante la dominazione de’ re Svevi di Sicilia. Apprendiamo per altro dalle carte degli Angioini successori loro immediati, che il tarì amalfitano di argento, equivalente a grana 12 ½, ed ora a grana 13 ed un terzo, ragguagliavasi per il passato a tre denari, e ciascun di essi contavasi per quattro grana. Nondimeno variando sempre il valore del tarì amalfitano, giunse talvolta ad essere ragguagliato fino a grana 20, siccome scorgesi da’ registri del regio Archivio2. Non v’ha certamente chi ignori che il valore dell’argento a que’ tempi era del quadruplo almeno più elevato di quel che fu dopo la scoperta del

  1. V. Docum. num. III.
  2. V. Docum. num. IV.