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i prodotti della sua industria, non era certamente ignaro di regole e di cognizioni necessarie, nè tampoco sprovvisto di un proprio codice marittimo, già noto sotto il nome di Tavola Amalfitana. Lungi dall’attendere lezioni di navigare e di trafficare dagli Arabi (come altri sognò), gli arditi nostri marinari approdavano a Famagosta (ant. Salamina), e di là correvano instancabilmente il mare dalle vicinanze di Laodicea sino ad Alessandria, donde facevan giungere le doviziose lor mercanzie sino alla città di El-Káhira o Mars (ant. Babilonia) sulla destra del Nilo.
Fuor dubbio, un buon accordo e delle reciproche relazioni commerciali passar dovevano fra gli Arabi e gli Amalfitani, a malgrado dell’odio di religione che divideva le due nazioni. Ma i primi non potevan vantarsi gran fatto superiori ai Cristiani nel viver civile, nel sapere e nella finezza delle arti.
Se alcuni edifizî sacri, già costrutti da valenti artefici amalfitani ne’ bei giorni di Repubblica, non fossero stati spietatamente rabberciati e deturpati dai moderni correttori nel XVII e XVIII secolo1, quelli ci farebbero oggidì luminosa testimonianza dello stile, del gusto e della maniera tutta propria de’ nostri nell’architettare e nel decorare. Non ostante di ciò, dai pochi vestigi che
- ↑ Tale scempio ebbero a subire il duomo di Amalfi costrutto nel 980 — la maggiore chiesa di Ravello (1086) — e l’altra di S. Giovanni del toro (1018) — Lo dica chi ha occhio artistico e fior di senno.