tava, nella mia stanzetta,
eran fredde, compassate, increscevoli: ma la voce, pietosa,
commossa. No, non era finzione! Con me, le finzioni
muliebri riescon poco; sono volpe vecchia, io. Si vedeva
proprio, il rincrescimento d’aver tolto quell’assunto. E,
adesso, chi sa, cosa voglia dirmi? Chi sa, che la non abbia qualche incarico della Ruglia? Perchè no? E, se non
direttamente, così, di sbieco, vorrà, dovrà insinuarmi
qualcosa, oh il giurerei. Bella donna! non sono le forme
giunonie, scultorie dell’Almerinda; ma è distinta assai.
Sembra malata, poveraccia: più pallida e più mingherlina
che a Napoli, è, di certo, adesso. Anche lei, ci avrà i
suoi guai. E ci sarebbe da scommettere, che, se fa la traffichina
e mette il becco in molle e vuol rimestolare affari,
che, a lei, punto non le appartengono, è, in massima
parte, perchè, in casa, le mancherà contentezza. Colpa
del marito? Incontentabilità sua? Vattel’a pesca; ed a me
non importa, un fico. Ad ogni modo, andiamoci, conviene!
Avrà narrato dell’incontro a quel babbuassaccio del
banchiere; mi aspetteranno. Parrebbe villania. Vogliamo
sperare, che non mi scarichi un predicozzo, a bruciapelo,
sulla mia condotta scapestrata e poco timorata di
Dio. E, se ci capito da