Pagina:Imbriani - Dio ne scampi dagli Orsenigo, Roma, Sommaruga, 1883.djvu/69


dagli Orsenigo. 59

tesoro? Io porto via la palla, infitta nelle carni, e che non avrebbe, mai, permesso alla ferita di risanare. Dia qui, e non pianga.» -

— «Ma se piange anch’Ella? Se anch’Ella vede e riconosce quanto io sia misero! E come potrò rassegnarmi a perdere tanto?...» -

— «Oh povero Maurizio, io sì, La compiango assai; ma, quasi quasi, La invidio pure. Sì, Le invidio questa sofferenza nobilissima. O Le par cosa strana? Ma non sente, non s’accorge di quanto la passione grande La sollevi al di sopra di nojaltri, che viviamo senz’essa? Oh come Lei ama! con quanto cuore! con tutta l’anima! Ebbene, io ho dovuto farla soffrire e molto: (ma, creda pure, nol dico per dire!) se, mai, potessi, comunque, compensare il dolore, che Le ho involontariamente inflitto, darei volentieri, dieci anni di vita.» -


VIII.

Rinunzierei a descrivere, come lo stato di abbattimento, in cui rimase il Della-Morte, dopo questo colloquio, così, pure, il perturbamento dell’animo della Radegonda; ma mi è forza tentare di ritrarlo. Essa non seppe resistere alla tentazione di leggere que’ due carteggi, de’ quali