mente le sue due mani a quelle di
lui: ma egli era insensibile a tanta voluttà di contatto.
Finalmente, il meschino, non potendone proprio più,
diede in un singhiozzo e proruppe in lagrime disperate,
che gli restituirono un po’ di calma. Aveva una chiavettina
dorata, tra’ ciondoli dell’oriuolo: l’adoperò per
aprire una cassettuccia di palissandro con intarsii di
bronzo, che stava sullo scrittojo, accanto al canapè.
Nella cassetta, vero bigiù, chiudevansi le letterine
dell’Almerinda sua e mille ineziucole, mille ricordi, ritrattini,
fiori appassiti, ciocche di capelli, un pajo di
anella ed altri innumerevoli oggetti o rubati o donati da
lei, insomma, que’ nonnulla, che han tanto pregio agli
occhi degli innamorati melensi (e quale innamorato non
è melenso?). Le lacrime grondavano, proprio, senza
metafora, dagli occhi dell’infelice, mentr’egli rimuginava
in quel piccolo caosse. Prese fuori una lettera a casaccio; e si trovò, ch’era una delle più amorevoli, fra
quante gliene avea scarabbocchiate l’Almerinda; una di
quelle, che, a riceverle, fanno balzare il cuore dell’amante
ed il fanno camminare pettoruto per la strada,
come se avesse vinto un terno al lotto o ricevuta la partecipazione
d’una promozione. Cominciò a rileggerla
con gli occhi; e più leggeva e più gli si accresceva il
pianto: finchè, forse, senz’ac-