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dagli Orsenigo. 43

alla meglio; e ciò, che, in altro tempo, sarebbe fatuità, quello starsene allo specchio, quel comporsi i capelli dieci volte, quell’adoperar mille spazzolini ed unguenti, quel travagliarsi, mezz’ora, intorno al nodo della cravatta, allora, è virtù, è un mostrare animo ben fatto e riconoscente, è uno studio di rimunerar colei, che ne compiace, piacendole. E, poi, si ordina, s’invigila, acciò la camera venga rassettata ammodo: tutto dev’essere disposto acconciamente e subordinato alla gran visita. Si nasconde la tal bazzecola, certe carte, certi libercoli; e mettendo altre coserelle in evidenza, si procaccia, che l’amica debba, necessariamente, badarvi, osservarle. Piccole imposture! Nossignora! è l’affetto, che corregge ed agevola il caso; che non vuol permettere di non accadere a ciò, che dovrebbe accadere.

Tutto è fatto, non ci è, più, nulla da regolare; e mancano due altre ore! Come ucciderle? Si esce. Ma non dà l’animo di allontanarsi da casa. Ne possono accader tante! E se, per caso, anticipasse? Se, costretta ad andarsene prestissimo, venisse, un’ora prima del convenuto? Se mandasse un’ambasciata, una letterina, per iscombinare o traslocare o modificare l’appuntamento? Si cammina, su e giù, avanti al portone. Ma un tanghero, che passa e ci ferma, ma il caro marito di lei, che capiterà, forse, allora, malaugurata-