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dagli Orsenigo. 27

rimproverarmi. Temei, che il mio confessore, don Cammillo Berretta, eccedesse nella indulgenza; e gli ho fatto qualche infedeltà, una e due volte, ricorrendo a chi aveva fama di severo. Ma sì! non ho potuto trovare chi m’imponesse la menoma penitenziuola; e, sicuro, temo, quasi quasi, d’aver esagerati i miei scappucci!... E, qui, in Napoli, come si portano a confessori? com’è il tuo, bell’Almerinda? Rigido molto? Da chi vai? sei, anche tu, delle infatuate del Capecelatro? vai dal Pica?» -

— «Il mio? Non ne ho. Sono anni, ch’io non mi confesso. Sono anni. Confessarmi? Dire ad un prete, ad un uomo... Oh no!» -

— «Eh, eh! che occhiate, che mosse! Sei più avanzata di me, tu! Quasi quasi, scommetterei, che fai la scettica. Perchè, mo, tanto orrore?...» -

L’Almerinda si sentiva un nodo alla gola e mancare il respiro. Il vaso, troppo colmo, deve traboccare. Vengono momenti, in cui non se ne può, proprio, più; e ci vuole lo sfogo, a qualunque costo. Quando il soldato, rifinito, nel giorno della battaglia, sta per morir di sete, beve, ingordamente, l’acqua delle pozzanghere, che avrebbe, in altro tempo, fuggita con isdegno, con cui non avrebbe voluto lavarsi i piedi. Quell’impeto del bisogno, che il costringe a