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per, poi, rimanersene col danno e con le beffe, come quella tale inglesoccia... Oh quale? La What-afair-foot, che, sedicenne, appena, e tanto tanto avvenente, si allogò, per moglie, con un sessagenario, rachitico, antipatico, collerico, bisbetico, sofistico. Speculava sulla morte prossima del conjuge; del quale era certa non aver figliuoli: ed, ereditandone, conforme alle clausole delle tavole nuziali, avrebbe sposato un bel giovanotto, di cui, già, s’era provvista. Quel vecchiaccio la condusse in villa; e la tenne, sempre, murata in casa; e non le lasciò campo di veder, neppure, un cane, nonchè il bel giovinotto: sinchè una scalmana la portò via, nel suo quadragesimosesto anno, dopo trent’anni d’unione conjugale, sopravvivendole lo sposo nonagenario e quattro o cinque figliuoli con un palmo di barba, per piangerne, coralmente, l’immatura perdita.

Anche l’Almerinda sbagliò, in parte, i calcoli. Don Liborio le fece un par di figliuoli, alla meglio, mentre fu, ancora, in condizione da imbastirne: e, poi, riposandosi su quegli ultimi allori, dormì, la notte, nel talamo, come assonnava, il giorno, nella sua brava poltrona, alla Corte. Ma non chiuse, non sorvegliò, non tiranneggiò la consorte; anzi, le accordò, pienamente, ciò, che le donne, secondo la graziosa novellina del Voltaire, più d’ogni altra cosa, e giorno e notte,