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dagli Orsenigo. | 159 |
Con la mansuetudine, non si mansuefanno le belve; o, se pure qualche animale bruto, non la belva uomo.
— «Vale a dire, ch’io sono un matto capriccioso? Chi sa, pretenderesti, forse, anche, di spacciarmi per ubriaco? Mia signora, signora mia, un damerino di Milano io non sono: io sono un soldato, un rozzo soldato. La lo sa. Da me, non pretenda nè riguardi premurosi, nè ch’io spenda, quanto un banchiere. È inutile il rinfacciarmelo. Stava meglio, prima? Lei sa bene, ch’io non sono stato, io, quegli, che la ha esortata a lasciare il rispettabilissimo signor Gabrio...» -
— «Maurizio!» -
— «Che altro c’è, adesso? Non si può mentovare il nome di quel tuo marito, senza che ti rannuvoli, tutta? Che altra commedia è questa?» -
— «Te ne ho ripregato le mille volte... L’ho lasciato, per te... Il farei, di nuovo... Ma perchè insultarlo? È un onest’uomo... Mi amava... Abbiamo convissuto anni... Non c’è ragione d’odio... Tutti i torti son miei... È il padre di mia figlia...» -
— «Proprio? proprio lui? proprio?» -
Ma non ho coraggio di riprodurre, più oltre, questa brutta scena. Sono istorico: ma v’ha luo-