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6 Dio ne scampi


II.


Donn’Almerinda Ruglia-Scielzo usciva da una famelica famiglia d’ufficiali borbonici, tanto numerosa, che le spietate ruberie del padre non avevan potuto rimpannucciarla; chè il babbo Scielzo s’era persuaso, tardi assai, della necessità di adoperar gli artigli e di farsi le porzioni da sè, in questo basso mondo e, spezialmente, in questa bassa Italia. Prode e probo sotto il Murat, probo e prode, dapprima, anche, sotto i Borboni, non imitò que’ colonnelli, che, violando la disciplina, imposer loro, nel venti, la costituzione; e, neppur, quelli, che, poi, tradirono la costituzione giurata, o fuggendo o patteggiando. Non c’era macchia qualsiasi sul nome suo; la integrità n’era proverbiale. Quindi, fu messo in disparte e trasandato, come sospetto e malsicuro. Aveva, imprudentemente, impalmata una certa Filomena Jaquinangelo; e, tanto per occupar l’ozio, prolificarono, con quella, che, i francesi, nel decennio, chiamavano immorale facilità de’ Napoletani. Sicuro, sicuro! que’ gallettacci, che han disimparata l’arte di generare, quelle pollanchelle, dotte nelle frodi conjugali, sdottoreggiavano, malthusianamente, co’ babbi e con le mamme partenopee: «O non vi sembra