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rebbero le maggiori ricchezze del mondo. Mangiò l’entrate, anticipatamente: e le rimesse del fattore cominciarono a scarseggiare. I debiti si accrebbero; e gl’imbarazzi; e le cambiali, mal rinnovate e peggio pagate, con denari tolti a sempre maggiori interessi e sempre più brevi scadenze. Dopo alcuni mesi, non fu più l’uomo, che sopperisse, alle spese giornaliere di casa. Tutto il denaro, che Maurizio riceveva, da Napoli, precipitando la sua povera proprietà, quantunque toglieva ad usura, e parecchi biglietti di vario taglio e colore, che trovò nel portafogli, benchè, secondo i conti, fatti il giorno prima, non dovessero trovarvisi; andavan, tutti, a finire sul tavolo da giuoco di non so qual clubbe. Perdeva, per lo più; perchè troppo sanguigno, impaziente e cavalleresco, al giuoco. E, se, per caso, guadagnava, il guadagno della notte scialacquavasi, in parte, il domani, in istravizzi, co’ suoi nuovi amici, e la maggior parte riperdevasi al macao.

Ebbene, della sua sventura al giuoco, del patrimonio, che sfumava, della stessa sua condotta indelicata, agli occhi suoi, non aveva colpa se non la Radegonda. A lei, faceva scontare il malumore. Quella gentile era l’irco emissario. La chiamava jettatrice, lei, ch’era usa, a sentirsi dire, di portar, sempre, fortuna. Per gli amici,