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di scusarlo. Il Salmojraghi medesimo, (l’abbiamo, già, detto), sfogato il primo impeto, non si abbandonò, più, a recriminazioni e rimproveri. Ciò, che la nonna pensasse, si è visto. Nè smise, un istante solo, dall’antica premura. Non passava, quasi, giorno, che non iscrivesse, alla nipote, dandole notizie della Clotilduccia. Ma c’era, anche, nella lontana Napoli, una persona, in cui non venian meno l’affetto e la riconoscenza. Io parlo di Donn’Almerinda Ruglia-Scielzo.

Il commendatore Don Liborio Ruglia, consigliere della Cassazione napolitana, s’estinse, lentamente, di nostalgia forense. Lasciò Napoli per Patrasso, perchè allontanato, rimosso, evulso, strappato, dalla su’ cara poltroncina curule; perchè le arringhe degli avvocati, del Pubblico Ministero e le relazioni de’ colleghi non gli molcevano, più, dolcemente, i sonni; perchè non aveva, più, ricorsi da rigettare od ammettere, sentenze da confermare, annullare o riformare; perchè non si vedeva, più, intorno, le facce degli altri consiglieri, del Procurator Generale, co’ suoi sostituti, degli avvocati, de’ procuratori, degli uscieri. Morì di crepacuore, insomma, e di rimpianto. So, che, a’ più, parrà ridicolo: mentre, invece, ad essi più, sembrerebbe sublime un vecchio soldato, cui scop-