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dagli Orsenigo. 111

— «Non credo aver, mai, peccato di troppa severità!» -

— «Chêh! chêh! Non sapevi sgridarmi! E, quando mi principiavano a spuntare i lucciconi sugli occhi, a prendermi subito, in collo; e baci! e moine! e carezze! e chicche! e giocattoli! E, quasi quasi, toccava a me il perdonarti! Cosa vuole, mo, il Salmojraghi! Cosa viene a fare da te, se ha da lagnarsi di me? Mi pare di esser donna e matura... anche troppo! e fuori tutela. E non c’è sugo, d’andar a rompere il capo, alla buona mamma mia, che è l’unica amica mia. Il Salmojraghi diventa, proprio, imbecille! Io nol posso più vedere! Questa è una indegnità!» -

— «Ma no, bimba, bimba! Non imbizzarrire! Tuo marito non t’accusava, punto; parlava, affettuosamente...» -

— «Io, che m’importa, a me, quando m’ammazzano, che dican di farlo per affetto! Bella scusa! E cosa borbottava costui?... Ma guarda un po’, anche tu, mamma, che necessità di parlarmene! M’è passato il buon umore! Puoi darci importanza, alle sue chiacchiere?» -

— «Anzi, non dò loro importanza nessuna; e gliel’ho detto. Vedi, egli t’ama e ti apprezza, oltre ogni dire; e se’ cieca, se nol vedi; se non t’accorgi, come egli sia, diciamolo, un tantin geloso.» -