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170-199 CANTO XV 61

170Come scoscende giú dalle nuvole grandine o neve
gelida, sotto la spinta di Bora che nasce nell’ètra,
Iri cosí passò per l’ètere, a volo veloce,
e stette al Nume presso che scuote la terra, e gli disse:
«Nume dal crine azzurro, che cingi la terra, un messaggio
175venni a recarti qui, da parte di Giove possente:
ei vuol che tu desista da guerre e da pugne, e che torni
alla tribú dei Numi, di nuovo, ed al mare divino.
Ché poi, se i detti suoi rifiuti ascoltare, e li spregi,
minaccia fa che qui verrà, per pugnar fronte a fronte
180contro di te; ma t’esorto di stare lontan dal suo braccio:
ché molto egli ti vince, per quanto egli dice, di forze,
e di te prima è nato, sebbene il tuo cuore non tremi
di dirsi uguale a lui, che pur fa tremare tanti altri».
     E a lei, crucciato, il Nume che scuote la terra, rispose:
185«Ahimè, troppo superbo, per quanto sia prode, favella,
se vuol di forza, contro mia voglia, frenarmi. D’onore
son pari a lui. Tre siamo, da Rea generati, fratelli,
figli di Crono: io, Giove, terzo Ade, signor dei defunti.
Tutto in tre parti fu diviso, ebbe ognuno la sua.
190Furono tratte le sorti. Io m’ebbi il perenne soggiorno
nello spumante mare: ebbe Ade le tènebre e l’ombra:
ottenne Giove il cielo, nell’ètere eccelso, fra i nembi:
la Terra e il grande Olimpo, rimangon possesso comune.
Per questo, a modo mio vivrò, non a modo di Giove,
195per quanto ei sia possente. Rimanga nel regno ch’è suo,
né sgomentarmi, come s’io fossi un dappoco, pretenda,
col braccio suo. Sarà molto meglio che i figli e le figlie
ch’ei generò, spaventi con queste minacce tremende;
quelli ai comandi suoi dovranno, anche a forza, ubbidire».