che doma uomini e Numi. A lei rifuggii, Giove stette, 260benché adirato: temé far cosa non grata alla Notte.
Ed ora, vuoi ch’io compia quest’altro impossibile inganno?».
Ed Era a lui rispose, la Diva dagli occhi lucenti:
«Sonno, perché la tua mente rièvoca questi pensieri? 264Credi che voglia Giove proteggere tanto i Troiani,
quanto egli si crucciò per Ercole, ch’era suo figlio?
Su, vieni, ed una a te darò delle floride Grazie,
che tu compagna l’abbia, che debba chiamarsi tua sposa: 268Pasítëa, per cui notte e giorno tu ardi di brama».
Cosí parlava. E Sonno fu lieto, e cosí le rispose:
«Orsú, giurami adesso per l’acqua di Stige funesta,
con una man toccando la Terra feconda, con l’altra 272lo scintillante Mare, perché testimonî a noi due
siano gli Dei che sotterra dimorano, a Crono d’intorno,
che sposa una darai a me delle floride Grazie
Pasítëa, per cui notte e giorno mi struggo di brama». 276Cosí diceva. Ed Era, la Dea dalle candide braccia,
fece com’egli disse, giurò, tutti i Numi invocando
ch’anno dimora nel Tartaro fondo, e son detti Titani.
E poi ch’ebbe cosí giurato, compiuto il suo giuro, 280mossero entrambi, d’Imbro lasciata la rocca, e di Lemno,
d’aria coperti, a corsa veloce compiendo la via.
Giunsero all’Ida, irrigua di polle, nutrice di fiere,
a Lecto, ov’essi prima lasciarono il mare, e per terra 284mossero: sotto i lor piedi l’altissima selva ondeggiava.
Qui stette Sonno, prima che Giove lo avesse veduto.
Sopra un altissimo abete ascese, che allora nell’Ida
cresceva, grande grande, per l’aria levandosi al cielo, 288e qui restò, fra i rami nascosto dell’albero; e forma