ché io vo’ della terra ferace ai confini recarmi, 200ed all’Ocèano, padre dei Numi, ed a Tètide madre,
che nelle case loro m’han bimba cresciuta, educata,
che m’ebbero da Gea nei giorni che Giove tonante
scoscese Crono sotto la terra ed il mare infecondo.
Da loro andrò, ché voglio comporre un antico dissidio 205che li separa: ché omai d’amore e di letto divisi
sono da lungo tempo, ché avvampano d’ira nel seno.
Se con le mie parole potessi convincerli entrambi,
e nel giaciglio indurli che insieme s’unisser d’amore,
certo che sempre cara per essi, e diletta sarei». 210E a lei cosí rispose l’amica del gaudio Afrodite:
«Né voglio io, né sarebbe possibile opporti rifiuto,
ché fra le braccia tu dormi di Giove, signore di tutti».
Cosí disse. E dal seno disciolse una fascia trapunta,
versicolore, ove tutte raccolte le illècebre aveva. 215Era l’Amore quivi, la cupida Brama, il Colloquio
lusingatore, che toglie di senno fin anche i piú saggi.
Questa alla Diva porse, le volse cosí la parola:
«Su’, Diva, prendi, adesso, e avvolgi al tuo sen questa fascia
versicolore, ove tutte s’accolgon le illècebre; e certo 220non tornerai, che tutta compiuta non sia la tua brama».
Cosí parlava. Ed Era dagli occhi lucenti sorrise;
e quando ebbe sorriso, sul seno si pose la fascia.
Mosse alla reggia allora di Giove sua figlia Afrodite.
Ed Era con un balzo partí dalle vette d’Olimpo. 225Su la Pïeria passò, su l’amabile Emàtia, dei Traci
usi a domar cavalli sui monti nevosi: volava
sopra l’estreme vette, né i piedi sfioravan la terra.
E giú piombò, dai picchi dell’Ato, sul mare ondeggiante,