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109-138 CANTO XIV 39

«È qui vicino l’uomo, né a lungo dovrete cercarlo,
110se pure dargli ascolto vorrete, né sdegno né cruccio
colga ciascuno di voi, perché sono il piú giovin di tutti.
Ché di buon padre, almeno, figliuolo sono io, di Tidèo,
che in Tebe adesso giace sepolto, e la terra lo cuopre.
Ebbe Portèo tre figli, che furono scevri di mende,
115ch’ebbero in Pleuróna le case, e in Calídone eccelsa,
Agrio e Melate: Enèo terzo era, signor di cavalli,
padre del padre mio, che gli altri in valore vinceva.
Questi rimase qui: mio padre lasciò la sua patria,
e prese stanza in Argo: lo vollero Giove ed i Numi.
120Quivi sposò la figlia d’Adrasto, e una casa opulenta
ebbe di beni, e gran copia di campi feraci di biade,
e assai filari attorno correvano d’alberi; e aveva
greggi in gran numero, e tutti vinceva gli Achei con la lancia:
è questo il vero: udito narrare l’avrete di certo.
125Non un imbelle, dunque, né figlio di gente dappoco
credere voi mi dovete, né quello ch’io dico spregiare.
Sebben feriti, a zuffa moviamo, ché muovere è forza.
E quando lí saremo, restiamo lontan dalla mischia,
lunge dai tiri, perché non s’aggiunga ferita a ferita,
130ed esortiamo gli altri, spingiamoli a pugna, che, ligi
a passïone, stanno lontani, né scendono al campo».
     Cosí diceva. E quelli l’udiron, gli diedero ascolto:
mossero; e primo andava, signore di genti, l’Atríde.
Né cieco era il signore che cinge, che scuote la terra:
135vegliava: e venne, assunta parvenza di vecchio, fra loro,
e per la destra l’Atríde, signore di popoli, prese,
e, a lui parlando, queste gli volse veloci parole:
«Atríde, adesso il cuore feroce d’Achille, di certo