590«Pàtroclo, non adirarti con me, se tu vieni a sapere
anche laggiú nell’Ade, che Ettore simile ai Numi
resi a suo padre; ché dato me n’ha non indegno riscatto.
Anche di questi doni la parte avrai tu che ti spetta».
Disse. E alla tenda di nuovo tornato, il divino Pelíde, 595sul trono istorïato sede’ donde prima era surto,
dal lato opposto a Priamo, cosí favellando al vegliardo:
«Vecchio, tuo figlio è sciolto, cosí come tu pur bramavi,
sopra la bara giace. Diman, come sorga l’aurora,
quando lo porterai, lo vedrai. Si pensi ora alla mensa. 600Níobe dal crine bello, anch’essa pensava a cibarsi,
a cui pur, nella casa morti eran ben dodici figli,
sei giovanette, e sei garzoni negli anni fiorenti.
Le uccise i figli Apollo, coi dardi dell’arco d’argento,
ch’era adirato con Níobe: Artèmide uccise le figlie 605perché Níobe osò sé stessa uguagliare a Latona.
Disse che questa avea generati due figli, essa molti:
e quelli, solo in due, i suoi sterminarono tutti.
Giacquero nove giorni cadaveri; e alcuno non c’era
per seppellir: ché in pietra le genti avea Giove converse: 610li seppellirono infine nel decimo giorno gli Olimpi.
Ma, sazia infin di pianto, del cibo ebbe anch’essa ricordo.
Ora, conversa in rupe, fra gioghi deserti di monti,
nel Sípilo, ov’è fama che sia delle Ninfe la cuna,
che intorno all’Achelòo contesson, divine, le danze, 615pur nella pietra, soffre la doglia voluta dai Numi.
Dunque, a nutrirci anche noi pensiamo, o divino vegliardo.
E piangere il tuo figlio diletto potrete piú tardi,
quando in Troia l’avrai condotto; e sarà lungo pianto».
Disse. E sgozzò, balzato sui piedi, una pecora bianca.