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500per riscattarlo da te, recandoti doni infiniti.
Achille, abbi rispetto dei Numi, ricorda tuo padre,
abbi di me compassione: di lui molto piú n’ho bisogno,
ché io patito ho quanto niun altri patí dei mortali,
io che alle labbra appressai la mano che il figlio m’uccise».
     505Cosí disse. E una brama gl’infuse di pianger pel padre.
La man gli prese, e il vecchio da sé dolcemente respinse.
E, nei ricordi immersi, l’uno Ettore prode piangeva
dirottamente, steso dinanzi ai piedi d’Achille:
ed il Pelíde anch’egli piangeva, or pensando a suo padre,
510ora a Pàtroclo; e tutta suonava di pianto la casa.
Ma poscia, quando Achille divino fu sazio di pianto,
e via dal seno, via dalle membra ne sparve la brama,
presto balzò dal seggio, levò di sua mano il vegliardo,
ch’ebbe pietà del capo canuto, del mento canuto,
515e a lui si volse, queste veloci parole gli disse:
«O poveretto, molti dolori ha patito il tuo cuore.
Ma come, dunque, solo venire, alle navi d’Acaia
osasti ora, al cospetto dell’uomo che tanti tuoi figli
trafisse, e tanto prodi? Davvero, il tuo cuore è di ferro!
520Ma via, su questo trono siedi ora, e, per quanto crucciato,
lasciamo che la doglia riposi per ora nel seno,
poiché nessun vantaggio deriva dal gelido pianto:
ché ai miseri mortali tal sorte largirono i Numi:
vivere sempre in pena: solo essi son privi d’affanni.
525Perché sopra la soglia di Giove son posti due dogli
dei loro doni: due di tristi, ed un terzo è di buoni.
E quegli per cui Giove, del folgore sire, li mischi,
or nella mala sorte s’imbatte, ora poi nella lieta.
Ma quello a cui soltanto largisce i funesti, lo aggrava

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