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470-499 CANTO XXIV 299

470dov’era Achille, stirpe di Superi. E qui lo rinvenne,
ed i compagni eran tutti lontani da lui. Due soltanto,
Automedonte l’eroe, con Àlcimo prole di Marte,
s’affaccendavano. Aveva da poco lasciata la cena,
i cibi, le bevande: la mensa era ancora imbandita.
475Senza esser visto, giunse qui Priamo; e, fattosi presso,
strinse, abbracciò le ginocchia d’Achille, le mani omicide,
terribili baciò, che trafitti gli avean tanti figli.
Come allorché sopra un uomo s’abbatte la grave sciagura,
che in patria un uomo uccise, che giunge fra genti straniere,
480presso un possente signore: lo guardano tutti stupiti:
similemente Achille stupí, come Príamo vide.
Stupirono anche i due, guardandosi l’uno con l’altro.
E Priamo, ad Achille parlando, cosí favellava:
«Del padre tuo ricordati, Achille simile ai Numi,
485annoso al par di me, su la soglia di trista vecchiezza;
ed i vicini, forse, che intorno gli stanno, anche lui
crucciano, e alcuno non v’è che allontani da lui la sciagura.
Ma pure, quegli, udendo parlare di te che sei vivo,
certo s’allegra nel cuore, sperando, ogni giorno che spunta
490di rivedere il figlio diletto che torni da Troia.
Io non ho che sventure: ché tanti valenti figliuoli
ho generato in Troia, né alcuno piú vivo mi resta.
Cinquanta, io, sí, n’avea, quando giunsero i figli d’Acaia,
che dieci e nove a me nati eran dal grembo d’Ecúba,
495avean gli altri le donne concetti nell’alto palagio.
Ai piú di loro, Marte feroce fiaccò le ginocchia:
quello ch’era da solo presidio alla rocca e a noi tutti,
tu l’uccidesti or ora, mentre ei combattea per la patria,
Ettore: ed ora io vengo d’Acaia alle navi per lui,