440ed impeto gagliardo spirò nei cavalli e le mule.
Quando alle torri e al fosso poi giunsero, presso le navi,
dove da poco stavan le guardie, allestendo la cena,
sonno su tutti versò l’Argicída che l’anime guida,
e d’improvviso schiuse le porte, rimosse le sbarre, 445e Priamo introdusse, col carro e coi fulgidi doni.
Cosí giunsero presso la tenda d’Achille Pelíde.
Alta era questa. Al signore l’aveano i Mirmídoni estrutta,
tronchi tagliando d’abete: di sopra costrussero il tetto,
con le villose canne che avevan recise nei prati. 450E attorno un gran recinto levaron pel loro signore,
tutto di fitti pali: chiudeva la porta una sbarra
sola d’abete: in tre la solevano spinger gli Achivi;
ed erano anche in tre quando aprire volevan la porta,
gli altri Mirmídoni: Achille bastava a sospingerla ei solo. 455E allora Ermète, il Nume benevolo, al vecchio la schiuse,
e fece entrare i doni fulgenti pel divo Pelíde,
e giú dal cocchio a terra balzò, tali detti gli volse:
«O vecchio, io sono a te venuto d’Olimpo: immortale
io sono, Ermète: a te per guida mandato m’ha Giove. 460Ma ora io me ne vo’ di nuovo: al cospetto d’Achille
io non verrò: sarebbe davvero odïoso, che un Nume
cosí palesemente largisse favori a un mortale.
Ma entra, e abbraccia tu le ginocchia al Pelíde, e pel padre
pregalo, e per la madre divina dal fulgido crine, 465e pel suo figlio, se mai potessi commovergli il cuore».
Poi ch’ebbe detto cosí, di nuovo si volse all’eccelsa
vetta d’Olimpo, Ermète. E Priamo balzò giú dal carro
al suolo, e Idèo lasciò. Rimase egli quivi, a tenere
muli e cavalli; e il vecchio andò difilato alla tenda