350per beverarli; e già su la terra sceso era il tramonto.
E allor, vide l’araldo, s’accorse, scorgendolo presso,
d’Ermète; e a Príamo tosto si volse con queste parole:
«Figlio di Dàrdano, attento; ché vigile mente ora occorre:
io vedo un uomo; e temo che presto c’infligga la morte. 355Su via, dunque, fuggiamo coi nostri cavalli, o cadiamo
dinanzi ai suoi ginocchi, se avesse di noi compassione».
Qui si turbò la mente del vecchio, e lo invase terrore:
sopra le curve membra d’orror s’arricciarono i peli,
e sbigottito stette. Ma presso gli venne il Benigno, 360le mani prese al vecchio, gli volse cosí la parola:
«O padre, dove spingi cosí le tue mule e i cavalli
per la divina notte? Già dormono tutti i mortali.
Timore tu non hai dei feroci guerrieri d’Acaia,
che son vicini a te, che t’odiano e son tuoi nemici? 365Se nella notte negra veloce qualcuno ti vede,
portar tanta ricchezza, che cosa tu fare potresti?
Giovine tu non sei piú, troppo vecchio è costui che ti segue,
per tener fronte ad un uomo, se primo venisse a investirvi.
Ma io farti non vo’ nessun male; e se altri t’assalta, 370dare ti vo’ soccorso: ché tu rassomigli a mio padre».
E a lui rispose allora con queste parole il vegliardo:
«È tutto vero quello che dici, figliuolo diletto;
ma sopra noi la mano tien pure qualcun dei Celesti,
che in tale viatore mi diede ch’io qui m’imbattessi, 375quale tu sei, benigno, mirabil di viso e d’aspetto;
e saggio sei di mente, figliuolo di genti beate».
E l’Argicída a lui rispose che l’anime guida:
«Sí, le parole che dici son tutte opportune, buon vecchio:
ma questo ancora dimmi, rispondimi senza menzogna: