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294 ILIADE 320-349

320come la videro, a tutti s’effuse conforto nel cuore.
E il vecchio in tutta fretta salí sopra il lucido cocchio,
e spinse il carro fuori dal portico e l’atrio sonoro.
Ivano innanzi dunque le mule, e tiravano il carro
di quattro ruote: Idèo lo guidava, lo scaltro; e i cavalli
325ivano dietro, che il vecchio spingea con la sferza a gran possa,
traverso la città: seguivano tutti i suoi cari,
dirottamente piangendo, cosí come andasse alla morte.
E poi che, dunque, usciti da Troia, pervennero al piano,
i generi ed i figli, di nuovo rivolto il cammino,
330tornarono in città. Ma i due non sfuggirono a Giove,
come comparvero al piano. Li vide, e pietà del vegliardo
ebbe, e a suo figlio Ermète si volse con queste parole:
«Ermète, o tu che godi, fra tutti i Celesti, compagno
farti dell’uomo, e ascolti, se alcuno ti chiami, e se vuoi,
335muovi ora, e Príamo adduci vicino alle navi d’Acaia,
cosí che niuno possa vederlo né averne sentore
degli altri Dànai, prima che giunga vicino al Pelíde».
     Disse; né tardo fu l’Argicída che l’anime guida.
Súbito sotto le piante si strinse i leggiadri calzari
340d’oro, immortali, che via lo rapivan su l’umido gorgo,
via per l’intermine terra, insieme coi soffi del vento:
anche la verga prese, onde gli occhi degli uomini sfiora,
questi, se vuol sopirli, se dormono questi, a destarli:
quella stringendo in pugno, volava il gagliardo Argicida.
345A Troia, all’Ellesponto cosí rapidissimo giunse;
e mosse, e avea l’aspetto di giovane principe, quando
gli ombra le gote la prima pelurie, e piú fulgono gli anni.
Or, come furono d’Ilio passati oltre il tumulo grande,
quivi i cavalli ed i muli fermâr su le rive del fiume,