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292 ILIADE 260-289

260tutti menzogna e balli, ché sono maestri a danzare,
maestri a fare preda, fra il popol, d’agnelli e capretti.
Non vi volete dunque sbrigare? Allestitemi il cocchio,
e tutta questa roba metteteci: io debbo affrettarmi».
     Disse cosí. Sbigottiti pei gridi del padre, i figliuoli
265trassero fuori il carro da muli di ruota veloce,
bello, costrutto da poco, sovr’esso legarono il cesto.
Via dal puntello poscia sfilarono il giogo da muli,
umbilicato, bello, provvisto d’un duplice anello,
e insiem trasser la cinghia del giogo, che avea nove braccia.
270Poscia, sul ben levigato timone posarono il giogo,
sopra la punta estrema, il cerchio infilâr nel puntale,
su l’umbilico tre volte legaron da entrambe le parti
la cinghia, in tutto punto, piegarono indietro il fermaglio.
Poscia, dal talamo fuori recato il riscatto infinito
275d’Ettore, sopra il carro lucente lo posero, e al giogo
strinsero i muli poi, gagliardi, dall’unghia robusta,
che a Priamo un giorno i Misii recarono, doni fulgenti.
Quindi i cavalli per Priamo legarono al giogo che il vecchio
solea di propria mano nutrir nella fulgida greppia.
     280Nella dimora eccelsa facevano i carri aggiogare
cosí Priamo e l’araldo, assorti nei gravi pensieri.
Ed ecco, presso a loro si fece, col cuore crucciato,
Ècuba; e vin piú dolce del miele in un calice d’oro
con le sue mani offrí, ché libassero pria di partire.
285Stette dinanzi ai cavalli, parlò queste alate parole:
«Tieni, ed a Giove liba, perché dalle genti nemiche,
tornar ti faccia a casa, se pur ti sospinge il tuo cuore
che tu vada alle navi d’Acaia, per quanto io non voglia.
Su via, la prece volgi a Giove che i nuvoli aduna,