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170-199 CANTO XXIV 289

170«Fa’ cuore, Priamo figlio di Dàrdano. A che ti sgomenti?
Non vengo io qui per danno ch’io veda che debba seguirti,
ma cerco il bene tuo. Di Giove io ti reco un messaggio,
che ha cura e pietà di te, benché tu sei lontano.
T’impone ora l’Olimpio che Ettore a scioglier tu vada,
175doni ad Achille recando che possano il cuore blandirgli,
e solo vada, e niuno con te dei Troiani si rechi.
Solo un araldo venga piú vecchio di te, che i muletti
guidi, ed il carro di ruote veloci, e di nuovo alla rocca
porti di Troia il corpo che Achille Pelíde trafisse.
180Né te di morte colga timore, né d’altro malanno:
tale un compagno a te darà: l’Argicída, che guida
ti sia, finché condotto non t’abbia vicino ad Achille.
E poi ch’entro la tenda condotto t’avrà, né il Pelíde
a te morte darà, né ch’altri alcun danno ti rechi
185consentirà: ché sciocco non è, né imprudente né empio:
ogni rispetto avrà d’un uomo che supplice giunge».
     Detto cosí, partí la Diva dai piedi veloci.
Ed esso ai figli impose che un carro da muli veloce
mettessero in arnese, ponesser sovra esso una cesta.
190Ed egli poi discese nel talamo tutto fragrante,
alto, di legno di cedro, che molti chiudeva tesori,
ed Ecuba chiamò, la diletta sua sposa, e le disse:
«O poverina, da parte di Giove m’è giunto un messaggio,
ch’io degli Achivi ai legni mi rechi e riscatti il figliuolo,
195doni ad Achille recando che possano il cuore blandirgli.
Or questo di’: che cosa ti par che decidere io debba?
Per me, troppo la brama, la smania che m’arde, mi spinge
ch’io nell’esteso campo d’Acaia alle navi mi rechi».
     Sí disse. E in pianto ruppe la donna, e cosí gli rispose: