680dov’eran, tratte in secco, lunghesse le spume del mare,
presso le navi d’Aiace, le navi di Protesilào;
e il muro sopra, qui piú basso che altrove; e la mischia
piú furïosa qui avvampava di fanti e cavalli.
Quivi i Beoti, quivi gli Ionî dai càmici lunghi, 685i Locri, quei di Ftia, gli Epèi fulgidissimi; e a stento
Ettore lungi tenevan dai legni; e tentavano invano
da sé scacciarne l’urto: parea quel divino una fiamma.
C’erano Atenïesi, quanti eran migliori: lor duce
era Menestio, figlio di Pètio: l’avevan seguito 690Fida, con Stichio, ed il prode Biante. Guidavan gli Epèi
Dracio, Anfióne, Megéte, Filide. Alle genti di Ftia
erano duci Podarce, maestro di guerra, e Medone.
Era Medone figlio bastardo al divino Oilèo,
era fratello d’Aiace: lontan dalla terra materna 695egli abitava in Filàce: ché ucciso Eriòpide aveva,
ch’era fratello della consorte d’Oilèo, sua matrigna.
Or questi, armato in guerra, guidando i magnanimi Ftii,
a schermo delle navi, pugnavano insiem coi Beoti.
E Aiace, il pie’ veloce figliuolo d’Oilèo, d’un sol passo 700non si staccava piú dal figliuol di Telàmone invitto;
ma, come nella dura maggese due fulvidi bovi
traggono il solido aratro, concordi nell’animo; e ad essi
sgorga, d’intorno al ceppo dei corni, in gran copia il sudore:
l’uno dall’altro il giogo lucente soltanto divide, 705mentre pel solco vanno, via via, sino al fine del campo:
cosí stavan piantati quei due, l’uno a fianco dell’altro.
Qui di Telàmone il figlio seguivano molti compagni,
molti e valenti, che a lui reggevano il grande palvese,
quando sudore e stanchezza fiaccavano a lui le ginocchia;