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818-846 CANTO XXIII 277

Ma poscia Achille, piedeveloce, gli diede la morte,
e nella nave portò, con gli altri suoi beni, anche il disco.
830In piedi stette, e queste parole rivolse agli Argivi:
«Sorgano tutti quelli che voglion provar questa gara:
ché s’egli avrà remote di molto le pingui sue terre,
potrà di questo globo servirsi cinque anni di filo:
mai non sarà che privo di ferro pastore o aratore
835debba recarsi in città: ché sempre ei potrà provvederlo».
     Cosí diceva. E primo balzò Polipète guerriero:
quindi Leonte, ch’era gagliardo, che un Nume sembrava,
e Aiace Telamonio: fu ultimo Epèo, pari ai Numi.
Stettero tutti in fila. Epèo prese primo il gran masso,
840lo mulinò, lo scagliò: corse un riso fra tutti gli Achivi.
Secondo lo scagliò Leonte, rampollo di Marte;
e terzo lo avventò di Telàmone il figlio possente,
dalla gagliarda mano, passando oltre i segni degli altri.
Ma quando prese poi Polipète guerriero il gran masso,
845sí lo scagliò come suole scagliare un bifolco il vincastro,
che roteando vola traverso le mandre dei bovi.
Di tanto ei vinse gli altri: gridarono tutti, stupiti.
Di Polipète gagliardo levatisi allora i compagni,
il premio del sovrano recarono ai concavi legni.
850Poi, vïolaceo ferro depose, compenso agli arcieri.
dieci bipenni nel mezzo del campo ei posò, dieci scuri.
E l’albero piantò d’una nave cerulea prora,
sopra la sabbia lontana: pel piede a una fune sottile
trepida colombella legò, la propose alla mira:
855«La trèpida colomba di voi chi riesca a colpire,
abbiasi tutte le dieci bipenni, ed a casa le rechi: