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590-619 CANTO XIII 23

590cosí dalla corazza del prode guerrier Menelao
volò, con gran rimbalzo, lontana l’amara saetta.
Ed egli, il prode figlio d’Atrèo, Menelao battagliero,
colpí la man che l’arco lucente stringeva; e nell’arco
si conficcò, trafiggendo la mano, la punta di bronzo.
595L’altro, a schivar la morte, tra i suoi si fuggí, penzoloni
la man tenendo; e l’asta traea nella mano confitta.
E dalla mano, l’asta di frassino Agenore svèlta,
con una striscia di lana ritorta fasciò la ferita,
con una fionda che a lui soleva recar lo scudiero.
     600E contro Menelao glorïoso si fece Pisandro;
ma lo guidava la Parca maligna alla soglia di morte,
ché nella pugna fosse fiaccato da te, Menelao.
Quando, l’uno su l’altro scagliandosi, furono presso,
sbagliò l’Atríde il colpo, ché l’asta si torse da un lato.
605Pisandro, su lo scudo colpí Menelao glorïoso;
ma non pote’ fuor fuori passare la lancia; e battendo
sopra l’ampio palvese, si franse il puntale dell’asta.
Pure, quei s’allegrò, sperando di già la vittoria;
ma, fuor tratta la spada trapunta d’argento, l’Atríde
610balzò sopra Pisandro. Pisandro, di sotto lo scudo
strinse una scure bella, di rame, in un manico infitta
lungo, di liscio ulivo: l’un l’altro colpirono a un tempo.
Questi colpí la cresta dell’elmo crinito, su alto,
proprio sotto il cimiero: l’Atríde, sul viso il nemico
615alla radice del naso colpí: scricchiolarono l’ossa,
gli occhi dinanzi ai piedi gli caddero al suol sanguinando,
e giú piombò reclino. Calcandogli un piede sul petto,
l’armi l’Atríde gli tolse, parlò con parole di vanto:
«Lasciar dovrete almeno le navi dei Dànai, Troiani