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349-378 CANTO XXII 241

dinanzi qui venissero a pormi, con altre promesse.
350Neppur se a peso d’oro volesse pagarmi il tuo corpo,
Príamo, neppure allora potrebbe deporti sul letto,
potrebbe lagrimarti la madre che t’ha partorito;
cani ed uccelli, a brani dovranno cibar le tue membra».
     Ettore prode, a morire già presso, cosí gli rispose:
355«Ben ti conosco, e già solo guardandoti, intendo che mai
ti piegherei: ché un cuore di ferro nel seno tu chiudi.
Bada però, che su te la mia morte il furore dei Numi
non susciti, quel giorno che Paride e Apòlline Febo
te prostreranno, per quanto gagliardo, alle porte Sceèe».
     360Cosí diceva; e un velo su lui l’ultima ora diffuse;
e dalle membra lo spirto volò verso l’Ade, gemendo
la sorte sua, la forza perduta, ed il fiore degli anni.
E sovra lui già spento, cosí favellava il Pelíde:
«Muori! E la Parca mia me colga, quel giorno che Giove
365e gl’Immortali tutti vorranno segnar la mia fine».
     L’asta divelse, detto cosí, dall’esanime corpo,
e, postala in disparte, dagli omeri l’armi cruente
fuori gli trasse. E attorno correvano tutti gli Achivi,
che, stupefatti, l’alta statura miravan, la possa
370d’Ettore: né s’accostò veruno che non lo ferisse:
e l’uno all’altro, gli occhi su lui rivolgendo, diceva:
«Ah sí, davvero adesso piú morbido molto a toccarlo,
Ettore pare, che quando col fuoco bruciava le navi!».
     Cosí dicea ciascuno giungendo, e vibrava il suo colpo.
375Ma poi che l’ebbe Achille veloce spogliato dell’armi,
fermo agli Achivi in mezzo, parlò queste alate parole:
«Datemi ascolto, amici, degli Achivi duci e sovrani.
Poi che concessero i Numi che spento giacesse quell’uomo