alto librava, cercando d’infliggere ad Ettore morte, 320tutto il suo valido corpo cercando, ove ignudo paresse.
E tutte eran le membra difese dall’armi di bronzo
belle, che a Pàtroclo aveva predate quel dí che lo uccise:
sol dove le clavicole scindon dagli omeri il collo,
adito pronto alla fuga dell’alma pareva la gola. 325Qui, mentre egli irrompeva, piantò la sua lancia il Pelíde,
e fuor fuori passò pel morbido collo la punta;
né la trachea gli recise il frassino grave di bronzo:
sí ch’egli ancor potesse rivolger parole al nemico.
E piombò giú nella polvere; e Achille, esaltandosi, disse: 330«Ettore, dunque credevi d’uccidere Pàtroclo, e salvo
tu rimaner, né pensiero ti desti di me ch’ero lungi.
Stolto! Ché a farne vendetta sovresse le concave navi
io rimanevo in disparte, campione di te ben piú saldo,
che t’ho fiaccato i ginocchi. Gli uccelli ed i cani or faranno 335turpe strazio di te: degne esequie egli avrà dagli Achivi».
Ettore, già d’ogni forza stremato, cosí gli rispose:
«Pei tuoi ginocchi, per l’anima tua, per i tuoi genitori,
non tollerar che i cani mi sbranino presso alle navi
dei figli d’Argo: accetta la copia del bronzo e dell’oro 340ed i presenti che il padre ti porga e la nobile madre;
ed il mio corpo alla casa ritorna, ove al fuoco i Troiani
e dei Troiani le spose daranno le spente mie membra».
Ma bieco lo guardò, cosí gli rispose il Pelíde:
«Non m’implorare pei miei ginocchi, pei miei genitori. 345Cosí potessi il cruccio sfogare e la furia, sbranando
e divorando, a farne vendetta, le crude tue carni,
come non c’è nessuno che possa dai cani salvare
il corpo tuo, neppure se dieci, se venti riscatti