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530-559 CANTO XIII 21

530die’ Merióne un balzo, che parve rapace sparviere,
e gli strappò dal sommo del braccio la lancia massiccia,
e fra la turba, di nuovo, tornò dei compagni. E Políte
trasse il fratello suo Deífobo fuor dalla zuffa,
sotto la vita un braccio passandogli, sin che fu giunto
535ai pronti suoi cavalli, che lungi dal cozzo di guerra
stavano con l’auriga, col carro dai varî colori.
Questi lo addussero afflitto, che cupo gemeva, alla rocca;
e giú sgorgava il sangue dal braccio ferito di fresco.
     E combattevano gli altri, né mai tregua avevano gli urli.
540Enea sopra Afarèo balzò, di Calètore figlio,
che vide contro sé, nella gola gl’immerse la lancia:
dall’una parte cadde reclina la testa, e lo scudo
cadde, con l’elmo; e la morte s’effuse, e la vita gli strusse.
Antíloco spiò Toòne, mentr’ei si volgeva,
545e si lanciò, lo ferí, tutta quanta recise la vena
che per la schiena in alto, via via, corre sino alla nuca.
Ei tutta la recise. Piombò ne la polvere quello,
cadde supino, entrambe le mani tendendo ai compagni.
E Antíloco balzò, per tòrgli dagli omeri l’armi,
550guardando tutto in giro: ché standogli attorno i Troiani,
chi qua, chi là, lo scudo fulgente colpíano; ma sotto
non riuscivan del bronzo le tenere membra a ferire;
però che il Dio che scuote la terra, di Nèstore al figlio
stava dappresso, e i colpi schermiva, sebbene eran fitti.
555Pur, dai nemici franco non era egli, no: s’aggirava
fra loro; e la sua lancia non stava ozïosa: vibrava
sempre, rotava; ed egli volgea nella mente i suoi piani,
chi saettasse da lungi, con chi s’azzuffasse da presso.
Ma non sfuggí, mentre egli tirava cosí tra la folla,