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169-198 CANTO XXII 235

che tanti lombi a me di bovi solea su le vette
170piene d’anfratti de l’Ida, bruciare, sovresse le mura
della città. Ma ora, di Priamo dinanzi alle mura
con i veloci passi lo incalza terribile Achille.
Su via, pensate, o Numi, volgete, a decider, la mente,
se dalla morte dobbiamo salvarlo, o se già, benché prode,
175cadrà prostrato sotto le mani d’Achille Pelíde».
     E gli rispose Atèna, la Diva che glauche ha le ciglia:
«Padre, che il folgore lanci, che addensi le nuvole negre,
che dici! Un uomo, dunque, da tanto promesso al Destino,
anche una volta pretendi strappare alla doglia di morte?
180Fa’! Ma non tutti i Celesti vorranno largirtene lode».
     E a lei rispose Giove, che i nembi raduna, le disse:
«Sta di buon animo, figlia mia cara. Non parlo con cuore
tanto sicuro: e voglio mostrarmi arrendevole teco.
Non trattenerti, fa’ tu tutto ciò che il tuo cuore ti detta».
     185Spinse cosí la Diva, che già nell’attesa fremeva;
e con un lancio, dai gioghi d’Olimpo calò su la terra.
     Achille senza tregua frattanto incalzava il nemico.
Come sui monti un cane, levato dal covo un cerbiatto,
velocemente l’insegue per gole e burroni; e se pure
190sotto un cespuglio quello si rannicchia, e resta celato,
ne segue senza posa, finché pur lo trovi, le tracce:
cosí non poteva Ettore al fiero Pelíde sfuggire:
ché quante volte cercava vicino alle mura dardanie
sotto le solide torri lanciarsi al riparo, se mai
195dargli soccorso potesser dall’alto, lanciando zagaglie:
tante lo preveniva, dinanzi correndogli, o al piano
lo respingeva; e sempre dal lato ei correa delle mura.
Come nel sogno, quand’uno non vale a raggiungere l’altro: