500l’uno dell’altro nel seno bramavano immergere il bronzo.
Enea contro il nemico per primo lanciò la zagaglia;
ma quei chinò, ché innanzi spingeva lo sguardo, il suo colpo;
ed oscillando, la terra percosse la lancia d’Enea,
ché vano il colpo uscí, lanciato dal pugno gagliardo. 505E Idomenèo colpí nel mezzo del ventre Enomào:
franse l’usbergo nel cavo, s’immerse nei visceri il ferro.
Quegli piombò, brancicò, nella polvere, il suol con le palme.
Idomenèo la lunga sua lancia strappò dal caduto,
ma non pote’, però, spogliarlo dell’armi sue belle, 510dagli omeri rapirle, perché lo incalzavano i dardi,
né agili piú avea le giunture dei piedi, a lanciarsi
dietro la sua zagaglia, né a schermo dei colpi nemici:
a corpo a corpo, bene sapeva schivare la morte;
ma se fuggire dovesse, non piú gli bastavano i piedi. 515Ora, mentre ei passo passo cedeva, Dëífobo l’asta
lucida contro lui scagliò: ché avea l’odio nel cuore;
ma lo sbagliò, colpí con la lancia d’Euríalo il figlio,
Ascàlafo; la lancia s’infisse nell’omero saldo:
egli piombò, brancicò, nella polvere, il suol con le palme. 520E non sapeva Marte dall’urlo terribile, ancora,
ch’era caduto il caro figliuolo nell’aspro cimento;
ma sulla vetta somma d’Olimpo, fra nuvole d’oro,
sedea, qui dal volere di Giove costretto, ove anch’essi
erano gli altri Numi, costretti lontan dalla guerra. 525A corpo a corpo, intanto, quei prodi, ad Ascàlafo intorno
lottavano. Ghermí Dëífobo l’elmo al caduto;
ma Merïóne, pari nell’impeto a Marte, balzando,
al braccio lo colpí con la lancia. Piombò dalla mano
l’alta celata a terra, mandando un rimbombo; e di nuovo