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470-499 CANTO XIII 19

470anzi, restò come fiero gagliardo cinghiale sui monti,
quando una turba aspetta che avanza con alto frastuono,
in solitario luogo: si vede tutta irta la schiena,
tutti di fuoco gli occhi lampeggiano, e arròta le zanne,
ché da sé lungi agogna respingere gli uomini e i cani.
475Idomenèo, maestro di lancia, cosí stava saldo,
ed attendeva l’assalto d’Enea, che accorreva a riscossa.
Ma die’ voce ai compagni, Dëípiro, Ascàlafo e Afàre,
E Merióne ed Antíloco, entrambi maestri di guerra.
Li vide, e li eccitò con queste veloci parole:
480«Correte, amici, a me recate soccorso! Son solo,
e assai pavento Enea, che avanza con passo veloce,
che su me piomba, ed è maestro ad uccidere in guerra,
e il fior di giovinezza ha inoltre, la massima forza:
poiché, se avessi gli anni ch’egli ha, per aggiunta al mio cuore,
485avremmo od egli od io ben presto la grande vittoria».
     Cosí diceva. E a lui, con un animo solo, i compagni
corsero tutti vicini, poggiati a le spalle gli scudi.
Dall’altra parte, Enea die’ pure una voce ai compagni,
ch’egli Dëífobo scorse, con Paride e Agènore divo
490ch’erano duci, al pari di lui, dei Troiani; e a lor dietro
tutte le genti, come, seguendo il montone, le greggi
vanno al pascolo a bere: s’allegra il pastore a vederle.
Similemente il cuore nel seno d’Enea s’allegrava,
quando a sé dietro vide la turba cosí delle genti.
495E a corpo a corpo quelli pugnavano ad Àlcato attorno
con le lor lunghe lancie: rombava terribile il bronzo
sovra i lor petti, mentre cosí si colpivan l’un l’altro.
Due guerrïeri che prodi fra i prodi quivi erano, Enea
e Idomenèo di Creta, entrambi in valor pari a Marte,