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230-259 CANTO XXI 213

230dunque del figlio di Crono dimentichi tu, che t’impose
presso restare ai Troiani, proteggerli, sin che non giunga
Vespero a ombrare col tardo tramonto le fertili zolle?».
     Mentre diceva, Achille feroce piombò dalla ripa
giú nel mezzo del fiume. E il fiume, gonfiandosi a furia,
235sopra gli si lanciò: mulinava, scagliava le ondate,
spingeva i corpi uccisi per mano d’Achille, che fitti
lo rïempievano, al piano, con lungo muggito di toro,
fuor li gittava; e i vivi lunghesse le belle fluenti
salvi rendea, celati negli ampi recessi dei gorghi.
240Con traballio terribile il flutto attorceasi ad Achille,
piombava la corrente, cozzava allo scudo, né i piedi
poggiare al suol lasciava: sí ch’egli afferrò con le palme
un grande olmo robusto; ma quello, sbarbato piombando,
tutta schiantò la ripa, coperse le belle fluenti
245con le fronzute rame, d’un argine freno le pose,
tutto piombandovi dentro. Balzato dai vortici, Achille
via si lanciò per il piano, volando sui piedi veloci,
per lo spavento. Né il Nume possente ristie’; ma la negra
cresta levando, balzò contro lui, per frenare d’Achille
250l’impeto, e lungi tenere dai Teucri l’eccidio fatale.
     Ed il Pelíde die’ un balzo, quanta è la gittata d’un’asta:
l’impeto suo fu come d’un’aquila negra predace,
che vince quanti sono gli alati, di forza e di volo.
Simile a questa, proruppe. Squillava terribile il bronzo
255sopra il suo petto; e, di sghembo, fuggiva dinanzi a Scamandro.
Ma rotolando quello seguialo con alto rimbombo.
Come talora dall’acqua profonda di cupa sorgiva
un fontaniere deduce per orti e filari un ruscello,
e con la marra alla mano via spazza gl’intoppi dal fosso: