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50-79 CANTO XXI 207

50senza né scudo né elmo — né lancia stringeva, ché a terra
tutto gittato avea: ché dal fiume fuggendo, sudore
lo macerava, e grave stanchezza fiaccava i ginocchi —
tutto crucciato, cosí si volse al magnanimo cuore:
«Ahimè!, che meraviglia mai debbon vedere questi occhi!
55Ora davvero i Troiani magnanimi a cui diedi morte
risorgeranno di nuovo dall’ètere fosco d’Averno,
quando è tornato costui, che, il giorno fatale schivando,
già fu venduto in Lemno; né freno gli pose l’abisso
dello spumante mare, che molti, a malgrado, trattiene.
60E allora via, di nuovo la punta di questa mia lancia
voglio che gusti: vo’ darmi ragione, e vedere se proprio
anche di lí tornerà nel medesimo modo, o se freno
porgli saprà l’alma terra, che i piú valorosi trattiene».
     Questo pensava, a pie’ fermo restando: ché tutto sgomento
65s’avvicinava l’altro, volea le ginocchia abbracciargli:
ch’egli schivare anelava la livida Parca e la Morte.
Dunque, la lunga zagaglia vibrò, per trafiggerlo, Achille;
ma quegli si chinò, si lanciò, gli afferrò le ginocchia,
sí, che, sovresso il dorso la lancia volandogli, a terra
70restò confitta, invano bramosa di suggere sangue.
Quegli con l’una mano stringealo ai ginocchi, e pregava:
l’aguzza asta con l’altra stringeva, né pur la lasciava;
e il labbro schiuse, e queste gli volse veloci parole:
«Io ti scongiuro, Achille: pietà di me abbi e rispetto:
75essere io devo per te come un supplice sacro, o divino:
ch’io presso te primamente cibai di Demètra la spica,
quel dí che nel podere mio bello prigione mi festi,
e mi vendesti, recandomi, lungi dal padre e dai cari,
nella divina Lesbo: ché avesti da me cento bovi.