Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/183

180 ILIADE 380-409

380tale per l’ètra un fulgore mandava lo scudo d’Achille
istorïato bello. Levò poi la salda celata,
e se la cinse al capo: fulgea che pareva una stella,
l’elmo crinito, tutto d’intorno ondeggiavan le chiome
d’oro, che aveva Efèsto confitte d’intorno al cimiero.
385Poi, fece prova di sé nell’armi, il divino Pelíde,
se tutte eran adatte, se ben vi moveva le membra:
e queste erano ferme, reggevano a volo il signore.
E dall’astiera allora prese anche la lancia del padre,
ch’era pesante e massiccia, né altri potea degli Achivi
390vibrarla: il figlio solo di Pèleo vibrare poteva
quel frassino del Pelio cui diede a suo padre Chirone,
scelta di cima al Pelio, perché fosse morte d’eroi.
Àlcimo ed Automedonte badavano intanto ai cavalli.
Postili sotto il giogo, legarono ad essi le barde,
395posero i freni alle bocche, le redini tesero indietro
verso la solida conca: nel pugno la lucida sferza
Automedonte strinse, ben chiusa, e balzò sopra il carro.
E Achille dietro a lui balzò, che, recinto dell’armi,
fulgeva come il sole che valica il sommo del cielo.
400E con un orrido grido si volse ai cavalli del padre:
«Baio, Liardo, e voi, di Pie’ ratto famosi figliuoli,
a trarre meglio in salvo l’auriga pensate, quando egli
fra i Dànai tornerà, poi che sazi saremo di guerra:
non lo lasciate, al pari di Pàtroclo, morto sul campo».
     405E Baio a lui rispose, corsiere veloce, dal giogo,
súbito giú chinando la testa; e di sotto il collare
tutta la chioma s’effuse dal giogo, sfiorando la terra:
ch’Era gli die’ favella, la Diva dall’omero bianco:
«Certo, anche adesso te salveremo, divino Pelíde;