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350-379 CANTO XIX 179

     350Atena, già bramosa, con queste parole sospinse.
Pari ad un falco di penna veloce, di stridula voce,
giú dal cielo balzò nell’ètere. Intanto, gli Achivi
s’armarono via via pel campo. E la Diva, ad Achille
nèttare dentro il seno stillava, e dolcissima ambrosia,
355ché non dovesse molesta la fame fiaccargli i ginocchi.
Poscia, la Dea tornò del padre alla solida casa,
e si dispersero quelli lontan dalle rapide navi.
Come allorquando i fiocchi di gelida neve, dal cielo
svolano fitti, all’urto di Bora che nasce dall’ètra,
360fitti cosí gli elmetti brillavano allora e corruschi,
gli scudi umbelicati che uscían dalla cerchia dei legni,
gli usberghi a salde squame, le lancie di frassino: al cielo
saliva il luccichio, tutto intorno rideva la terra
per il barbaglio del bronzo, frastuono sorgeva dai piedi
365dei guerrïeri. E in mezzo, s’armava il divino Pelíde.
Uno stridore i suoi denti mandavan, brillavano gli occhi,
come sfavilla vampa di fuoco, nel seno gli ardeva
insopportabile cruccio. Spirando furor contro i Teucri,
l’armi indossava del Nume, che Efesto gli aveva costrutte.
370Prima, riparo alle gambe, si pose i lucenti schinieri,
che alle caviglie intorno stringevano fibbie d’argento;
poscia, d’intorno al petto girò la corazza; la spada
gittò sopra le spalle, di bronzo, coi chiovi d’argento;
e poi, lo scudo prese, che molto grande era e massiccio,
375ed un fulgore lontano raggiava, e pareva di luna.
Come talvolta appare, lontano sul mare, ai nocchieri,
d’un fuoco ardente il raggio, che brucia alla cima d’un monte,
entro solinga stalla; ma quelli, sul mare pescoso,
loro malgrado, il turbo lontano dai cari trascina: