350Atena, già bramosa, con queste parole sospinse.
Pari ad un falco di penna veloce, di stridula voce,
giú dal cielo balzò nell’ètere. Intanto, gli Achivi
s’armarono via via pel campo. E la Diva, ad Achille
nèttare dentro il seno stillava, e dolcissima ambrosia, 355ché non dovesse molesta la fame fiaccargli i ginocchi.
Poscia, la Dea tornò del padre alla solida casa,
e si dispersero quelli lontan dalle rapide navi.
Come allorquando i fiocchi di gelida neve, dal cielo
svolano fitti, all’urto di Bora che nasce dall’ètra, 360fitti cosí gli elmetti brillavano allora e corruschi,
gli scudi umbelicati che uscían dalla cerchia dei legni,
gli usberghi a salde squame, le lancie di frassino: al cielo
saliva il luccichio, tutto intorno rideva la terra
per il barbaglio del bronzo, frastuono sorgeva dai piedi 365dei guerrïeri. E in mezzo, s’armava il divino Pelíde.
Uno stridore i suoi denti mandavan, brillavano gli occhi,
come sfavilla vampa di fuoco, nel seno gli ardeva
insopportabile cruccio. Spirando furor contro i Teucri,
l’armi indossava del Nume, che Efesto gli aveva costrutte. 370Prima, riparo alle gambe, si pose i lucenti schinieri,
che alle caviglie intorno stringevano fibbie d’argento;
poscia, d’intorno al petto girò la corazza; la spada
gittò sopra le spalle, di bronzo, coi chiovi d’argento;
e poi, lo scudo prese, che molto grande era e massiccio, 375ed un fulgore lontano raggiava, e pareva di luna.
Come talvolta appare, lontano sul mare, ai nocchieri,
d’un fuoco ardente il raggio, che brucia alla cima d’un monte,
entro solinga stalla; ma quelli, sul mare pescoso,
loro malgrado, il turbo lontano dai cari trascina: