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178 ILIADE 320-349

320Ed ora, giaci lí trafitto, né io voglio cibo,
né vino, che pur tanto ce n’è nella tenda, per brama
di te, ché nessun male peggior poteva toccarmi,
neppur se avessi udita la nuova che morto è mio padre,
che adesso vive in Ftía, che lagrime versa, per brama
325di questo figlio, ch’ora lontano, fra estranëe genti,
per Elena odïosa, coi Teucri sta combattendo,
oppur che morto è il figlio mio caro che a Sciro mi vive,
se pur vivo ancora è Neottòlemo simile ai Numi.
Prima, nel petto mio speranza nutriva il mio cuore
330ch’io solo in Troia qui caduto sarei, lungi d’Argo
nutrice di cavalli, che in Ftía tu dovessi tornare,
che su la nave negra veloce dovessi il mio figlio
teco da Sciro addurre, per tutti mostrargli i miei beni,
tutti i miei servi, e il mio palazzo dall’alto fastigio:
335perché morto è Pelèo di già, me lo dice il mio cuore,
oppur di vita poco gli resta, ché troppo l’opprime
la tormentosa vecchiaia, l’attendere sempre novelle
di me, che luttuose saranno, e saprà ch’io son morto».
     Cosí disse piangendo, piangevano tutti i signori,
340alla sua casa ognuno pensando, ai suoi beni lasciati.
N’ebbe il figliuolo di Crono, pietà, come pianger li vide,
e tosto volse tali veloci parole ad Atena:
«Figlia, tu dunque affatto l’eroe che pure ami, abbandoni?
Achille, dunque, piú non ti viene per nulla al pensiero?
345Egli piangendo sta dinanzi alle navi bicorni,
piange il diletto compagno caduto. Son gli altri guerrieri
andati al pasto: ei solo rimane affamato e digiuno:
muòviti dunque, a lui fatti presso, ed infondigli in petto
nèttare e dolce ambrosia, perché non lo abbatta la fame».