170sono, finché non sia cessata del tutto la pugna.
Su via, le genti adesso congeda, ed il pranzo comanda
che si prepari. E i doni, l’Atríde signore di genti
in mezzo al campo faccia recare, ché tutti gli Achivi
veggan con gli occhi loro, ché lieto il tuo cuore ne resti. 175E poi, sorgendo in pie’ fra gli Achivi, ti presti il suo giuro
ch’egli nel letto di lei non è mai salito o giaciuto
com’è dritto, o signore, degli uomini tutti e le donne;
e allora, anche il tuo cuore placarsi dovrà nel tuo seno.
Nella sua tenda poi t’accolga con lauto banchetto, 180ché nulla manchi a te di quello che pur t’è dovuto.
Atríde, e d’ora innanzi, piú equo tu esser dovrai
con gli altri; poi ch’è giusto che un re paghi anch’esso l’ammenda
ad un altr’uomo, quando l’ingiuria per primo gli reca».
E a lui cosí rispose l’Atríde, signore di genti: 185«Le tue parole udire m’allieta, figliuol di Laerte,
ché tutto è giusto quello che tu ragionasti, esponesti.
Ed io vo’ questo giuro prestare, il cuor mio me lo impone,
né io dinanzi al Nume spergiuro sarò. Ma qui, certo,
sebbene tanta sia la sua brama di guerra, il Pelíde, 190ed anche tutti voi sostate, sinché dalla tenda
giunti non siano i doni, si prestino i giuri solenni.
Ed a te stesso io questo, figliuol di Laerte, propongo:
scegli dei giovani quelli che son fra gli Achivi i migliori,
che dalla nave mia qui rechino i doni che ieri 195noi promettemmo ad Achille, qui rechino pure le donne.
E presto a me Taltibio prepari un cinghiale, nel vasto
campo d’Acaia, ch’io voglio che a Giove s’immoli ed al Sole».
E Achille pie’ veloce rispose con queste parole:
«D’Atrèo celebre figlio, Agamènnone sire di genti,