110colui ch’oggi nascendo, fra i piedi cadrà d’una donna
nata da quella stirpe d’umani che vien dal tuo sangue — .
Cosí diceva. E Giove comprender non seppe l’inganno,
ch’era acciecato; e ad Era prestò giuramento solenne.
Ed Era, con un balzo lasciate le vette d’Olimpo, 115rapidamente ad Argo d’Acaia pervenne: sapeva
ch’era di Stenèlo, figlio di Pèrseo, quivi la sposa,
che un figlio in grembo, già nel settimo mese, recava.
Era lo trasse a luce, sebbene il suo mese non fosse,
e freno pose al parto d’Alcmena, e trattenne le Ilizie. 120Ed il messaggio ella stessa recando al Croníde, gli disse:
— Una notizia, o Giove, ti reco, e tu scrivila in cuore:
è nato chi sarà signor degli Argivi: Euristèo,
di Stènelo, figliuolo di Pèrseo, nipote: è tuo sangue:
ben degno egli è però, che regni su tutti gli Argivi. — 125Acuto cruccio Giove colpiva nel fondo del cuore.
Súbito Ate afferrò per la testa dai riccioli molli,
e, tutto pien di sdegno, prestò giuramento solenne
che su l’Olimpo mai piú, mai piú fra le stelle del cielo
Ate sarebbe tornata, che accieca di tutti le menti. 130E, pur giurando, rotò la mano, e dal cielo stellato
via la scagliò: ben presto degli uomini ai campi fu giunta.
E a lei sempre imprecava, qualora il suo figlio vedesse
sotto le indegne fatiche patire, mercè d’Euristèo.
Ed io del pari, quando di Priamo il figlio possente 135strage facea d’Argivi, vicino alle navi d’Acaia,
non mi potevo d’Ate scordar, che m’aveva acciecato.
Ora, poiché m’accecai, poiché Giove di senno mi tolse,
voglio con te far la pace, vo’ darti infinito riscatto.
Su via, muovi alla zuffa, sospingi alla zuffa anche gli altri;