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529-558 CANTO XVIII 161

che stavano a consiglio seduti, balzâr senza indugio
530sopra i cavalli piú rapidi, accorsero, giunsero presto.
Presso le rive qui del fiume, appiccaron la zuffa,
e l’uno contro l’altro vibravan le bronzee zagaglie.
C’era Contesa, c’era Tumulto, e la Parca funesta,
che un uom teneva, or ora ferito, ed incolume un altro,
535e un altro, ai pie’ ghermito, tirava, già morto, pel campo,
e tutta rossa di sangue sugli omeri aveva la veste.
E s’incontravano come se avessero vita, i guerrieri,
che dalle mani l’uno dell’altro strappavano i morti.
     Poscia, una molle maggese vi finse, una fertile terra,
540ampia, tre volte arata. Volgevano i bovi aggiogati
molti aratori in essa, movendo da un capo ad un altro.
E quante volte, tornando, giungevan del campo al confine,
tante di contro ad essi facevasi un uomo, e una coppa
di vin dolce porgeva: sicché, ritornavano ai solchi,
545desiderosi di giungere al termine ancor del maggese.
E nereggiava dietro la terra, ed arata sembrava,
sebbene fosse d’oro: prodigio a vedere stupendo.
     Quindi, un podere vi finse regale. Tagliavan le spighe
due mietitori, in pugno stringendo le falci affilate.
550Ed i mannelli, qui, fitti fitti cadean lungo il solco,
ed altri i legatori stringevan coi vétrici. E appunto
i legatori eran tre, che stavan lí presso; e ragazzi
stavano dietro, e i mannelli recavano via tra le braccia,
senza interrompersi mai. Fra loro, impugnando lo scettro,
555stava in silenzio il re, sopra un solco, e gioiva nel cuore.
Sotto una quercia, araldi, lí presso, ammannivano il pranzo.
Un gran bove immolato avevano; e intanto le donne
sopra le carni molta spargevano bianca farina.