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156 ILIADE 379-408

Mentre a queste opere intento con grande artificio era il Nume,
380Tètide a lui, la Dea dall’argentëo pie’, giunse presso.
Càrite giunger la vide, la bella dal morbido velo,
che sposa era d’Efesto, l’insigne ambidestro; e le mosse
contro, le prese la mano, le volse cosí la parola:
«Teti dal lungo peplo, qual causa, diletta e onorata,
385te guida al nostro tetto? Di rado venirci solevi!
Vieni prima con me, ché i doni ospitali ti porga».
     E, cosí detto, seco l’addusse la Dea fra le Dive,
sovra un bel trono ornato di borchie d’argento e di fregi,
seder la fece; ed uno sgabello anche v’era pei piedi.
390Efèsto indi chiamò, l’artefice insigne, e gli disse:
«Efèsto, fatti avanti, ché Tètide è qui che ti cerca».
     E a lei rispose allora l’artefice insigne ambidestro:
«Una gran Dea mi dici ch’è giunta, ch’io venero. In salvo
ella mi trasse, quando, caduto dal cielo, io pativo,
395mercè della mia madre, la cagna sfacciata, che volle
farmi sparire, perché ero zoppo; e avrei molto sofferto,
se non m’avessero accolto nel grembo Eurínome e Tèti,
Eurínome, la figlia d’Ocèano, che cinge la terra.
Stetti sette anni con esse, foggiando molte opere belle
400nel bronzo, e fibbie, e curvi bracciali, e collane ed anelli,
entro la cava spelonca: d’intorno, d’Ocèano il flutto
scorrea rimormorando, spumando incessante; né altri
sapea, né fra i Celesti, di me, né fra gli uomini: sola
Tèti sapea, che salvato m’aveva, ed Eurínome sola.
405Ed ora, alla mia casa giunge ella: pertanto conviene
che adesso io renda a Tèti dai riccioli belli il compenso.
Ora, imbandisci tu per essa la mensa ospitale,
ché io metta da parte i mantici e tutti gli arnesi».