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289-318 CANTO XVIII 153

Ma sono i bei tesori scomparsi oramai dalla casa,
290e in Frigia e ne la bella Meonia van molti dei beni
venduti, ora che Giove possente è crucciato con noi.
Ed ora, poi che il figlio di Crono concesse che gloria
presso le navi io raccolga, cha al mare gli Achivi respinga,
stolto, alle turbe tu non porgere tali consigli.
295E già, niuno vorrà darti retta: ché io nol consento.
Ma via, su, tutti quanti facciamo cosí com’io dico:
ora si faccia la cena nel campo, ciascuno al suo posto,
e si sovvenga di fare la guardia, e ciascuno sia desto:
ché se qualcuno dei Teucri si cruccia dei troppi suoi beni,
300li metta insieme, e dia, perché li consumi, alla turba:
meglio che alcuno di loro li goda, e non già qualche Achivo.
Domani, come l’alba sarà, tutti cinti dell’armi,
presso alle concave navi si desti il furore di Marte.
Ché se il divino Achille davvero è vicino alle navi,
305dura sarà la prova per lui, se la cerca: alla fuga
io già non penserò, bensí gli starò faccia a faccia,
sia ch’ei la gran vittoria consegua, o pur ch’io la consegua.
Eníalo è incerto; e spesso chi sta per uccidere, muore».
     Ettore questo diceva, gli fecero plauso i Troiani.
310Stolti! Ché Pallade Atena li aveva sviati dal senno:
ché d’Ettore i consigli lodarono, ed erano tristi,
e niun Polidamante lodò, che parlava pel meglio.
Cosí presero il pasto, restando nel campo. E gli Achivi
piansero Pàtroclo tutta la notte, con alti lamenti.
315E cominciò fra loro l’amaro lamento il Pelíde,
sul seno del compagno stendendo le mani omicide,
gemiti fitti levando: pareva leon generoso,
a cui dal folto bosco rapiti abbia i teneri figli