con le sue mani, e ad Idomenèo la parola rivolse: 620«Sferza i cavalli, adesso, finché non sii giunto alle navi:
vedi da te, che adesso non è degli Achei la vittoria!».
Sí disse. E Idomenèo sferzava i veloci cavalli
verso le concave navi: ché preso l’aveva il terrore.
Né il segno era di Giove sfuggito al magnanimo Aiace, 625né a Menelao, quando il Nume concesse la gloria ai Troiani:
onde cosí parlò di Telàmone il figlio possente:
«Miseri noi, vedere potrebbe sinanche uno stolto
che il padre Giove adesso sostiene egli stesso i Troiani:
a segno i dardi loro van tutti, chiunque li scagli, 630sia valoroso o da poco: ché Giove alla mira li guida;
ma dalle mani a noi, tutti írriti cadono al suolo.
Su via, dunque, noi stessi cerchiamo il partito migliore,
onde sottrarre il corpo si possa ai nemici, e tornare
noi stessi, e dar col nostro ritorno conforto agli amici 635che son crucciati, qui vedendoci, e niuno ha speranza
che d’Ettore omicida si sfugga alle mani, alla furia;
ma certo è che qui tutti morremo fra i negri navigli.
Deh!, se pur qualche amico recasse la nuova al Pelíde,
prima ch’ei possa: ch’egli finora non sa, nulla intese, 640della funesta nuova, che spento è il compagno suo caro.
Ma tra gli Achei non posso distinguer chi acconcio sarebbe,
perché son dalla nebbia nascosti essi stessi e i cavalli.
Deh!, Giove padre, sottrai dalla nebbia i figliuoli d’Acaia,
fa’ che il sereno torni, che possano gli occhi vedere: 645se morti pur ci vuoi, fa’ che almen nella luce si muoia».
Cosí gemeva. Ed ebbe pietà del suo pianto il Croníde.
Súbito sperse via la caligine, e scosse la nebbia;
e il sole scintillò, tutta quanta si vide la pugna.