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349-378 CANTO XVII 127

ch’era venuto dalla Peonia dai pascoli pingui,
350e dopo Asteropèo, primo era fra tutti in battaglia.
Asteropèo pietà provò, che cadere lo vide,
e di gran cuore contro gli Achivi si spinse a pugnare:
ma nulla ei piú poteva: ché fitti assiepavan gli scudi,
tendevan l’aste, mentre pugnavano a Pàtroclo intorno.
355E presso a tutti, Aiace andava con mòniti molti,
e comandava che niuno movesse lontan dalla salma,
che niun si distaccasse per correre avanti alla zuffa,
ma tutti a lui d’accanto restassero fermi a pugnare.
Cosí l’immane Aiace gridava; e bagnata la terra
360era di rosso sangue: ché fitti cadevano i morti,
sia dei Troiani, sia dei lor valorosi alleati,
e degli Achei: neppur questi pugnavano immuni da strage,
ma ne cadevano meno: ché sempre badavano tutti
l’uno a schermir la vita dell’altro, nel fiero conflitto.
     365Cosí dunque la pugna ferveva, e pareva un incendio:
né sole avresti detto che qui piú brillasse, né luna:
ch’erano avvolti tutti di nebbia quanti eran piú prodi
campioni, al corpo attorno di Pàtroclo in zuffa confusi.
Gli altri Troiani poi, gli altri Achèi da le belle gambiere,
370senza tal mora, a cielo sereno pugnavan: del sole
si diffondeva acuta la luce, né al piano né al monte
nuvola alcuna appariva. Pugnavan; ma spesso una tregua
era alla zuffa; e i dardi schivavano l’uno dell’altro,
stando lontani; ma molto pativano gli altri nel mezzo,
375quanti eran piú gagliardi, pel buio, pel cozzo di guerra,
per gli spietati colpi del bronzo. Due soli fra tanti,
due valorosi guerrieri, Trasímede e Antíloco, ignari
eran di tutto, ancora: pensavan che Pàtroclo vivo