E chi degli altri poi ricordar tutti i nomi potrebbe, 260che, dopo essi, la zuffa di nuovo animâr degli Achivi?
Vennero prima i Troiani, precorsi da Ettore, all’urto.
Come allorché su la foce d’un fiume divino, un gran flutto
l’acqua che sbocca investe mugghiando, e da entrambe le parti
rugghiano i lidi, e fuori vomiscono l’acqua del mare: 265con simile frastuono moveano i Troiani; e gli Achivi
stavano d’un sol cuore dinanzi al figliuol di Menezio,
dietro una fitta siepe di scudi di bronzo; e il Croníde
effuse densa nebbia d’intorno ai loro elmi lucenti:
ché neppur prima gli era discaro il figliuol di Menezio, 270sinché fu vivo, fu scudier del nipote d’Eàco;
e non soffrí che fosse ludibrio alle cagne troiane,
ed i compagni eccitò, che per lui si lanciarono a lotta.
Prima i Troiani respinser gli Achivi dagli occhi lucenti.
Lasciato il corpo, indietro si volsero a fuga; né alcuno 275ne uccisero i Troiani, per quanto ne avessero brama,
ma trascinavano via la salma. Ma stettero poco
lungi gli Achivi; ché, a farli rivolgere, presto giungeva
il Telamonio Aiace, che, dopo il perfetto Pelíde,
tutti d’aspetto, tutti d’imprese vinceva gli Achei. 280E tra le prime schiere si mosse; e sembrava un cinghiale
che sovra i monti, a un tratto, volgendosi in mezzo alle macchie,
agevolmente i cani scompiglia, e i fiorenti garzoni.
Agevolmente cosí, di Telàmone il fulgido figlio,
cosí sperdeva Aiace, le fitte falangi troiane 285che s’addensavano al corpo di Pàtroclo attorno, e speranza
grande nutríano, in Troia di trarlo, d’averne alta gloria.
Ippòtoo quivi, il figlio fulgente di Lete pelasgo,
stretto al mallèolo, ai tèndini attorno, col bàlteo l’aveva,