E Glauco, condottiero dei Licî, d’Ippòloco figlio, 140bieco guardando il figlio di Priamo, gli disse a rampogna:
«Ettore, bello di viso, di mano del par non sei prode:
grande è la fama tua, ma troppo sei pronto alla fuga:
provvedi ora a salvare la gente e la rocca di Troia,
solo da te, con le genti che videro in Troia la luce: 145ché niuno piú dei Licî combatter vorrà con gli Achivi
presso alle vostre mura, perché niuna grazia riscuote
chi senza tregua s’affronta, per voi, con le genti nemiche.
E come mai potresti salvare un guerriero dappoco,
se tu persin l’amico Sarpèdone, l’ospite tuo, 150preda agli Argivi lasciasti, lasciasti che fosse ludibrio
quei che alla rocca, a te fu scudo, mentr’egli era vivo?
E adesso i cani tu non valesti a cacciargli d’attorno.
Perciò, se ascolto alcuno mi dà dei guerrieri di Licia,
torniamo a casa; e piombi su Troia l’estrema rovina: 155perché, se nei Troiani lo spirito intrepido e fiero
fosse, che colma il cuore degli uomini, quando a difesa,
di lor patria pugnando, affrontano zuffe e travagli,
tratto ben presto in Ilio sarebbe di Pàtroclo il corpo.
Se, cosí morto, giunger potesse costui su la rocca 160grande di Priamo, se lui strappare potessimo al campo,
presto dovrebber gli Achèi di Sarpèdone renderci l’armi
belle, il suo corpo stesso potremmo recare dentro Ilio:
però che lo scudiere caduto è d’un uomo, il piú forte
tra quanti sono Argivi; né valgono meno i compagni. 165Ma non avesti cuore di star fronte a fronte ad Aiace,
tu, non ardisti negli occhi fissarlo fra gli urli nemici,
né contro lui pugnare; ché troppo è di te piú gagliardo».
Ettore lo guardò biecamente, e cosí gli rispose: