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109-138 CANTO XVII 119

che gli uomini ed i cani sospingano via da una stalla,
110con gli urli e con le frecce: gli abbrivida il cuore gagliardo
nel seno, e mal suo grado si scosta dal chiuso: del pari
il biondo Menelao lontano da Paride andava.
Stette, poiché dei suoi fra le schiere fu giunto; e si volse,
cercando il grande Aiace figliuol di Telàmone; e presto,
115com’ebbe il campo tutto veduto, lo scòrse a sinistra,
mentre ai compagni cuore faceva, esortandoli a zuffa:
ché Febo aveva in essi terrore indicibile infuso.
Mosse correndo, e gli fu ben presto vicino, e gli disse:
«Aiace, vieni qui, di Pàtroclo presso alla salma:
120corriamo, o caro, se potessimo almeno ad Achille
recare il corpo ignudo: ché Ettore l’armi ha predate».
     Cosí disse. Ed Aiace, turbato nel cuore, si spinse
oltre le prime file, col biondo figliuolo d’Atrèo.
Ettore, intanto, spogliato dell’armi il figliuol di Menezio,
125lo trascinava, ché il capo voleva spiccargli dal busto,
ed il cadavere in Troia recare, da pascerlo i cani.
Ma gli fu presso Aiace, levando il suo scudo turrito.
Ond’Ettore cede’, fra le schiere dei suoi si ritrasse,
balzò nel cocchio, diede di Pàtroclo l’armi ai Troiani,
130ché le recassero ad Ilio, ché segno a lui fosser di gloria.
E, l’ampio scudo Aiace reggendo, al figliuol di Menezio
vicino stava, come leone in difesa dei figli,
che, mentre per la selva li guida, e ancor cuccioli sono,
nei cacciatori s’imbatte: si ferma, spirando furore
135e tutto il sopracciglio giú cala, a nascondere gli occhi:
cosí moveva Aiace d’intorno al compagno caduto;
e Menelao, figliuolo d’Atrèo, prediletto di Marte,
stava dall’altra parte, covando nel cuore il gran cruccio.